La favola di Esopo della cicala e della formica veicola sin dal VI secolo a.C. un messaggio elementare: se si vuole arrivare preparati ad affrontare i momenti difficili del lungo inverno, bisogna impegnarsi e lavorare duramente per fare incetta di più risorse possibili durante l’estate della nostra esistenza.
Detto fatto. Ecco che noi italiani ci dedichiamo senza tregua ad accumulare progressivamente i nostri redditi per progetti o imprevisti futuri (basti pensare che a fine 2023 la liquidità ferma sui conti correnti del Belpaese era di circa 1.500 miliardi di euro). Si pensa spesso, infatti, che tenere i propri risparmi sul conto corrente sia una scelta più sicura rispetto alla decisione di investire parte di essi in attività finanziarie.
Niente di più sbagliato. Il nemico numero uno del capitale non è assolutamente il mondo finanziario, bensì l’inflazione, ovvero un incremento di ampia portata dei prezzi di beni e servizi. Tale fenomeno è responsabile del calo del potere d’acquisto degli italiani: l’aumento dei prezzi diminuisce la quantità di beni e servizi che possiamo comprare. In parole semplici, con la stessa banconota da 100 euro nel 2021 compravamo molti più prodotti rispetto a quanto possiamo fare oggi.
Esaminiamo più da vicino come questo fenomeno intacca il capitale accumulato. Supponiamo di avere 100.000 euro depositati su un conto corrente bancario che non offre alcun tasso di interesse. Inoltre, immaginiamo che l’inflazione sia del 3% all’anno. Dopo un anno di inflazione il potere d’acquisto della nostra moneta sarà diminuito e il nostro denaro varrà il 3% in meno rispetto all’anno precedente, ovvero il valore reale sarà di 97.000 euro. Ovviamente sull’home banking continueremo a leggere 100.000 euro, ma questi soldi avranno perso valore perché spendendoli potremo acquistare meno prodotti e servizi, che costeranno di più. Ecco la differenza tra il valore nominale della moneta (i 100.000 euro che continueremo a leggere) e quello reale (cosa posso effettivamente comprare con quei soldi).
L’inflazione si misura attraverso la costruzione di un indice dei prezzi al consumo, una media dei prezzi di un insieme di beni e servizi chiamato paniere. La media tiene conto dell’importanza dei singoli prodotti e servizi sul totale della spesa. Oggi questo strumento statistico consta di più di 1.700 beni e servizi diversi. Il paniere dei prezzi ci dice molto della nostra storia perché viene annualmente aggiornato dall’ISTAT per essere rappresentativo delle abitudini di spesa degli italiani. Quando nacque nel 1928 era formato da 59 prodotti, soprattutto beni alimentari, tra cui figuravano anche la legna secca per il riscaldamento e quella per la cottura dei cibi. Questi ultimi rimarranno nel paniere fino al 1966, seppur con importanza via via decrescente. Con l’arrivo degli anni Cinquanta il parrucchiere da donna diventò un bene di consumo a tutti gli effetti: entrarono nel paniere la permanente e la messa in piega. Nel 1986 entrò la carta da lettere, ma scomparve dopo un decennio; i telefoni cellulari sono entrati nel 1996 e l’abbonamento a Internet nel 1999. Nel 2022 comparvero nel paniere la sedia del PC, la friggitrice ad aria, i tamponi per il Covid 19 e la psicoterapia individuale; sono invece definitivamente usciti i compact disk. Nel 2024 sono entrati il pasto “all you can eat”, i corsi di padel e l’apparecchio per la deumidificazione e purificazione dell’aria, mentre è uscito l’e-book reader per via del calo delle spese sostenute dalle famiglie per questo tipo di prodotto.
Tornando a parlare di inflazione, possiamo affermare che la stabilità dei prezzi fa bene ai cittadini e all’economia. Il consiglio direttivo della BCE ha stabilito che l’obiettivo di stabilità dei prezzi nell’area dell’euro è un tasso di inflazione pari al 2% nel medio periodo. Tale obiettivo da un lato rappresenta un livello di inflazione che non comporta un costo troppo elevato per l’economia e i cittadini e dall’altro garantisce un adeguato margine di sicurezza contro il rischio di deflazione, ovvero una riduzione generalizzata dei prezzi. Anche la deflazione, infatti, può danneggiare l’andamento dell’economia: quando le famiglie e le imprese si aspettano una diminuzione dei prezzi, tendono a rimandare gli acquisti o gli investimenti per pagare meno in futuro.
L’andamento dell’inflazione in Italia negli ultimi settant’anni ha mostrato oscillazioni significative. Il grafico sottostante mostra l’inflazione media dal 1956 al 2024: l’anno in cui si è raggiunto il massimo valore medio è stato il 1980 (21,2%), mentre il valore minimo c’è stato nel 1959 (-0,4%). Se dagli anni Ottanta l’attenuazione dell’inflazione era diventata una priorità del governo e aveva portato a buoni risultati di contenimento, dal 2000 l’andamento del suddetto fenomeno è tornato a far preoccupare, complici la pandemia di Covid-19 e il conflitto russo-ucraino.
Cosa ci aspetta il futuro? Difficile fare stime, ma è doveroso menzionare le strategie più efficaci per difendere il proprio capitale dall’erosione inflazionistica e non perdere potere d’acquisto: una pianificazione finanziaria oculata e un’attenta gestione degli investimenti. È di fondamentale importanza mettere a frutto i propri risparmi investendo in strumenti finanziari con rendimenti reali positivi, diversificando il proprio portafoglio su più strumenti, settori e aree geografiche: un portafoglio ben diversificato, composto da titoli e strumenti finanziari differenti, permette infatti di mitigare un’eccessiva esposizione al rischio e massimizzare le possibilità di rendimento. In generale, in uno scenario economico delicato e in continua evoluzione, è importante accrescere la propria cultura economico–finanziaria per effettuare in modo consapevole le proprie scelte di consumo, risparmio e investimento.